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L'angolo delle favole
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Cenerentola non abita più qui.
La storia di Cenerentola ormai si conosce. E fino alla mezzanotte tutto va bene con la magia e la fantasia e l'amore, ma forse il dopo…alle 24 e un tocco, quello che è il seguito, potrebbe cambiare…e questo non lo narra mai nessuno.
Dopo il ballo, la Principessa perde la scarpetta, fugge, e scappando si ritrova negli abiti di Cenerentola, in mezzo ad una strada, nel buio della notte e sola. Rientra a casa felice, innamorata, si corica e sogna e rivive, addormentandosi, tutta la meraviglia delle ore che ha vissuto.
E il Principe? Lui è rimasto alla festa, con la scarpetta tra le mani, la scarpetta che rappresenta l'unico legame ormai con la donna che quella sera ha preso il suo cuore. E la festa continua, presenti sono anche le sorellastre di Cenerentola e tutte le altre ragazze della Corte.
Fa parte del suo dovere di Principe Azzurro sorridere e fare ballare le fanciulle e così continua la festa fino al mattino. Certo nella sua testa c'è sempre il ricordo di lei, ma la stanchezza è tanta e quando si corica, è troppo stanco sia per ricordare che per sognare.
Quando si sveglia, il giorno dopo, il sole è già alto, ci sono tante cose da sbrigare, cose importanti, impegni di Corte. La scarpetta è là appoggiata su di un cuscino di raso e……. là rimane.
Anche la sera seguente il Principe deve seguire il cerimoniale: feste, ospiti, la sua vita è così piena, organizzata e nessuna cosa può essere lasciata al piacere o al caso. Giorno dopo giorno e notte dopo notte il ricordo della sua bella compagna di ballo, affievolisce e solo mentre attarda lo sguardo sulla scarpetta di cristallo, sempre appoggiata sul cuscino di raso, un sorriso gli piega le labbra e un raggio di serenità percorre il suo cuore.
Ma passano i giorni e passano le notti, il Principe finisce con lo sposare una delle sorellastre di Cenerentola; non certo per amore ma è la soluzione migliore per le finanze dello Stato: la sposa possiede un'ingente dote.
La scarpetta di cristallo finisce in un armadio della camera da letto del Principe, che dorme solo. Non è felice, ma la felicità è forse di questo mondo? Quando la tristezza lo avvinghia…apre il suo cuore…ed un'anta dell'armadio dove troneggia, al posto d'onore, una scarpetta di cristallo.
E Cenerentola? Cenerentola è ancora bella e serena, vestita dei suoi soliti stracci ha passato giorni molto tristi e bui: considerata da tutti un po' strana, perché parla sempre di una notte, di una zucca trasformata in carrozza e di topi trasformati in cocchieri…..e aspetta, parlando di un Principe che è sicura che prima o poi tornerà.
Un giorno però si sofferma sullo sguardo "strano" con cui la osservano i vicini, un lampo di rabbia si accende dentro di lei e finalmente da vittima si trasforma, ultimo guizzo di orgoglio che la assale, in una ostinata caparbietà di salvezza.
Cerca lavoro e se ne va da casa, oramai reale godimento della matrigna, si iscrive a dei corsi serali: l'attesa è finita e incomincia una vita normale piena di impegni e di realtà.
Valuta che la nascita in una famiglia agiata le è servita a poco;
un buon padre, anche, dato che se ne è andato troppo presto;
la fortuna di aver incontrato il principe azzurro è stata molto fugace.
La sua vera ricchezza è stata in realtà la fantasia che legata all' intelligenza e a tanta costanza, per il resto della vita, ha avuto il potere di risollevarla dai momenti neri, fino alla conquista del suo posto, reale, nel mondo: questa Cenerentola è diventata una scrittrice! e tutte le altre?
Gennaro Molino
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La grossa eredità.
C'era una volta, un commerciante che, dopo una vita trascorsa nel commercio, aveva messo da parte un'enorme ricchezza.
L'uomo però, sperperò in breve tempo i tanti guadagni vivendo nel più grande sfarzo, spendendo per bere e per il
gioco d'azzardo. Quest'uomo aveva due figli.
Quando questi furono cresciuti e iniziarono a guadagnare tanto di che vivere, si adirarono profondamente col padre che
aveva scialacquato tutti i suoi beni e risparmi. Nonostante l'uomo fosse ormai anziano e non godesse di buona salute,
non riceveva nessun aiuto dai suoi due figli.
Un giorno allora l'uomo, disperato, andò da un suo vecchio caro amico sperando nell' utilità di un suo consiglio.
Appena l'uomo spiegò all'amico come i suoi figli non l'amassero e come gli facessero mancare ogni tipo di sostegno,
l'amico gli rispose: "Non preoccuparti, caro amico. Ecco cosa devi dire ai tuoi figli: Una volta ho prestato ad un
amico una grossa somma di denaro e ora egli me la restituirà." L'uomo, ampiamente soddisfatto, ringraziò e tornò
sereno verso casa.
Qualche giorno dopo, come d'accordo, l'amico venne a trovarlo portando con sé una grossa e pesante cassapanca.
Entrando disse: "Che Dio accresca le tue ricchezze! E' passato tanto tempo, ma finalmente eccoti indietro il denaro
che mi avevi prestato!" L'uomo allora mostrò davanti ai figli grande entusiasmo e con felicità disse: "Cari figli, il
denaro che il mio amico mi sta restituendo sarà vostro, lo lascio in eredità a voi! Un terzo del denaro sarà
distribuito ai poveri, tutto il rimanente lo dividerete voi due! Io controllerò solo che nulla vada perduto".
Da allora in poi l'uomo fece costante guardia alla cassapanca. Se si doveva assentare un attimo, chiudeva accuratamente
la porta della stanza a chiave. I suoi due figli, finalmente, non gli facevano più mancare nulla ed esaudirono ogni suo
desiderio sino alla sua morte. L'uomo gioiva di aver finalmente rieducato i suoi figli al bene.
Quando l'uomo morì, i figli poterono finalmente aprire la cassapanca ma ebbero una grossa delusione: la cassapanca era
colma solo di sassi! Subito però i figli capirono e riconobbero sereni una cosa basilare: l'educazione al bene e
all'amore verso i genitori è meglio di qualsiasi ricchezza esistente al mondo.
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I due fratelli.
C'erano una volta due fratelli che vivevano nello stesso paese, uno molto ricco, l'altro molto povero. Il fratello ricco inoltre sparlava sempre del fratello povero e la moglie di questi si lamentava della situazione e si chiedeva sempre se mai avessero avuto un pò di fortuna. Il marito decise di mettersi in viaggio per porre a Dio la domanda. Dopo aver camminato per giorni e giorni arrivò al mare e vide un penitente inginocchiato su una roccia aguzza. Questi gli chiese dove andasse e perché, quindi lo pregò di chiedere a Dio quando sarebbe giunta la buona sorte anche per lui. L'uomo promise e continuò il suo viaggio. Cammina, cammina arrivò tra le sabbie del deserto e vide spuntare la testa di un uomo con il corpo completamente immerso nella sabbia. Anche questi gli chiese cosa cercasse e come il primo lo pregò di chiedere a Dio per quanto tempo ancora avrebbe dovuto rimanere immerso nella sabbia. L'uomo promise e ripartì. Dopo aver camminato a lungo arrivò sulle montagne dove viveva un vecchio eremita e gli chiese ospitalità per la notte. Il vecchio eremita si nutriva del pane di segale e un grappolo d'uva nera che gli veniva portato prodigiosamente da un corvo. Quel giorno il corvo portò insieme al solito pasto, pane di frumento e un grappolo d'uva bianca. "Probabilmente è per l'ospite" pensò l'eremita, ma poiché da molto tempo non mangiava pane di frumento e uva bianca diede al viandante il pane di segale e l'uva nera. Lo congedò pregandolo di chiedere a Dio se avesse già preparato un posto in Paradiso per lui. Il viandante promise e se ne andò. Viaggiò ancora per molti giorni attraverso terre desolate e una sera giunse davanti a una casa e chiese ospitalità. La donna che gli aprì lo scongiurò di andarsene perché suo marito era un bandito che aveva già ucciso 99 uomini. Il viandante la supplicò, fuori sarebbe stato divorato dalle belve feroci, tanto valeva rischiare. Al ritorno, il bandito uccise un montone e trattenne l'ospite per tre giorni senza fargli del male e prima di congedarlo lo pregò di chiedere a Dio se fosse già pronto un posto all'Inferno per lui. Cammina, cammina l'uomo giunse in una fitta foresta, tanto fitta da sembrare senza via d'uscita. All'improvviso udì una voce: "Che cerchi"? "Io cerco Dio per fargli una domanda sulla buona sorte per me e per altre quattro persone". Allora Dio parlò attraverso quella voce: "Torna a casa, la tua fortuna è là e tu ancora non lo sai. Dì all'uomo sulla roccia in mezzo al mare che quando le onde si alzeranno ancora più in alto, inizierà per lui la buona sorte. All'uomo nel deserto dì che farò soffiare un vento cosi forte che lo libererà dalla sabbia. Per l'eremita il posto all'Inferno è già pronto e per il bandito è già pronto il posto in Paradiso". Il viandante riprese la strada del ritorno, riferì ai quattro uomini quello che aveva saputo e tornato a casa le cose cominciarono a migliorare, ebbe figli e ricchezza. Un giorno sotto le spoglie di un mendicante, Dio arrivò in quella casa. L'uomo voleva sgozzare un capretto per lui, ma la moglie lo fermò: "Non vorrai offrire un capretto a quello straccione, andrà benissimo un gatto". Presero un gatto, l'uccisero, lo cucinarono e lo servirono all'ospite. Allora l'ospite disse: "Gatto salta fuori!" e il gatto saltò fuori più vivace che mai. Poi il mendicante scomparve e con lui anche la buona sorte. La famiglia si impoverì e rimase senza figli e senza ricchezze. Il fatto è che non erano diventati veramente ricchi, lo erano solo esteriormente.
Gennaro Molino
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I giorni della merla,
Una volta, tanto tempo fa, i merli erano bianchi come la neve.
Un anno, gli ultimi tre giorni di gennaio furono molto freddi e gli uomini non osavano uscire per la paura di
morire assiderati: i rami degli alberi scricchiolavano dal gelo cadendo e spezzandosi, i fiumi erano ghiacciati,
gli uccellini si rifuggiarono nelle case sperando di ricevere un po' di briciole e un po' di calore. Una merla,
che si era allontanata dal suo nido per raccogliere provviste nel granaio ma a far ritorno fu sorpresa da una
vampata di neve, si rifuggio' nel comignolo di una casa e le sue piume diventarono nere come la notte.
Dopo tre giorni la neve cesso' di cadere cosi' la merla pote' tornare al suo nido. I merlotti non la riconobbero e
la cacciarono via; lei cerco' di ripulirsi ma tutto fu inutile. Da allora, tutti i merli divennero neri e gli ultimi
tre giorni di gennaio si chiamano i giorni della merla.
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Il cane fedele
Chi di punto in bianco è generoso piace agli sciocchi, ma tende inutili insidie alle persone accorte. Di notte un
ladro aveva gettato una pagnotta al cane, se mai potesse adescarlo con il lancio di quel cibo: "Ehi, tu" disse "vuoi
legarmi la lingua perché non abbai nell’interesse del padrone? Sbagli di grosso; infatti, codesta improvvisa liberalità
mi impone di stare ben attento che per colpa mia tu non abbia qualcosa da guadagnare".
Fedro, I, 23.
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Il gallo e la perla.
In un letamaio un pollastro cerca qualcosa da beccare: trova una perla. "Tu, una cosa tanto preziosa" disse "stai qui
abbandonata in un luogo indegno! Se qualcuno avido di quanto tu vali lo avesse notato, saresti tornata da un pezzo al
tuo primitivo splendore. Io, certo, ti ho scoperto, ma preferirei di gran lunga trovare qualcosa da mangiare, e così
questa combinazione non serve un accidente né a me né a te". Questo io lo racconto per certe persone che non mi capiscono.
Fedro, III, 12..
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Il gatto curioso.
C'era una volta un gatto curiosone che voleva sapere sempre tutto al mondo.
Un giorno, mentre il gatto stava in una foresta, vide un leone che parlava con una pecora.
"Strano" pensò il gatto "chissà perchè non la mangia subito" poi, continuando ad ascoltare, sentì che il leone preferiva mangiare solo i gatti.
"Mamma mia, un leone mangiagatti!" disse il gatto e decise subito di scappare via. Purtroppo il leone l'aveva sentito miagolare e lo raggiunse in un baleno.
Ma il gatto furbacchine disse: "Ma io non sono un gatto, in realtà sono un marsupiale australiano che assomiglia ad un gatto. Se mi mangiassi moriresti subito perchè, fra l'altro, la mia carne è velenossissima". Il leone, tutto muscoli e niente cervello, disse: "grazie tante di avermi avvisato, animale australiano. e scusami se ti ho disturbato.".
"Per carità, è stato un piacere aiutarla... arrivederci e tanti saluti a casa". Concluse il gatto e
proseguì per la sua strada pensando che spesso la curiosità fa bene alla salute.
Guglielmo Molino
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Il lupo e il pastore.
Un lupo andava dietro un gregge di pecore, senza far loro nulla di male. Il pastore da principio si guardava da lui
come da un nemico e lo sorvegliava pieno di sospetto. Ma poiché quello continuava a seguirli e non faceva neppure un
tentativo di rapina, finì col considerarlo più un guardiano che un nemico in agguato e, quando ebbe bisogno di recarsi
in città, partendo, affidò le pecore a lui. Il lupo pensò che era giunto il momento buono, e, piombando addosso
al gregge, ne sbranò la maggior parte. Quando, al suo ritorno, il pastore vide il gregge distrutto, esclamò: "Ahimè!
La colpa è tutta mia: perché ho affidato delle pecore a un lupo?". Così anche tra gli uomini è più che naturale che
chi affida un deposito ad una persona avida non lo riabbia più indietro.
Esopo, CCXXIX.
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Il pulcino blu.
C'era una volta un pulcino blu, che viveva in un pollaio blu, in una fattoria blu, con la sua mamma gallina blu,
il papà gallo blu e i suoi amici pulcini blu.
Un giorno decise di andare a vedere il mondo blu, e partì per la strada blu.
Ad un certo punto incontrò un vigile con la divisa blu che gli disse:
"Dove stai andando, pulcino blu?"
"Vado a vedere il mondo blu" rispose il pulcino blu.
"Ma va là, pulcino blu", disse il vigile blu, "è molto meglio se torni a casa dalla tua mamma blu".
Così il pulcino blu tornò a casa, dove lo aspettavano la sua mamma blu e tutti i suoi amici pulcini blu,
e tutti furono molto felici perchè il pulcino blu era tornato nella sua casa blu.
Dedicata a Chiara da Riccardo Battistin
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La storia del drago fiammeggiante.
C'era una volta un bellissimo castello
costruito su una bellissima montagna.
Aveva un solo difetto, l'avevano costruito
vicino alla tana del drago fiammeggiante.
Il drago fiammeggiante sputava fuoco e fiamme
e aveva l'alito che sapeva di metano.
Un giorno, il re del castello
chiamò il cavaliere errante
per sconfiggere il drago fiammeggiante.
Ma il cavaliere errante era proprio errante, e sbagliò strada!
Andò al mare e si dimenticò di andare a sconfiggere il drago fiammeggiante!
Così il drago fiammeggiante visse sempre felice e contento.
Dedicata a Enrico da Riccardo Battistin
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Il topo e la rana.
Un topo di terra, per sua disgrazia, fece amicizia con una ranocchia. La ranocchia, malintenzionata, legò il piede del
topo al suo, e così se ne andarono insieme, in un primo tempo, a mangiar grano per i campi; poi si avvicinarono
all’orlo di uno stagno, e la ranocchia trascinò dentro il topo nel fondo, mentre essa sguazzava nell’acqua.
Il povero topo si gonfiò d’acqua e affogò, ma galleggiava, legato al piede della rana. Lo vide un nibbio e se lo portò
via tra gli artigli. La rana, legata, gli tenne dietro e servì anch’essa per la cena del nibbio. Anche i morti hanno
la possibilità di vendicarsi, perché la giustizia divina tutto vede e, tutto misurando sulla sua bilancia, dà ad ognuno
quel che gli spetta.
Esopo, CCXLIV.
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La paura dell'acqua pura.
Una volta c'era un bambino che aveva paura dell'acqua pura. Si chiamava Carletto e aveva cinque anni. Era bellissimo, con gli occhioni grandi e blu. I capelli nerissimi e luminosi. Paffutello, ma non troppo. Nell'insieme, ricordava proprio un bambolotto. Quando la sua mamma lo voleva lavare, si metteva ad urlare e a sbraitare. Scappava e non si faceva acciuffare per essere immerso nell'acqua. Rimaneva dunque tutto sporco, con il visetto macchiato, le gambe e le manine nere. La povera mamma si disperava e lo rincorreva tutti i giorni, sicché un bel momento, avvilita ed esausta, cominciò a ripetere una filastrocca dedicata proprio a quella peste del suo figlioletto. La poesiola diceva così:
C'era una volta un bambino
che aveva paura dell'acqua pura.
Quando la mamma lo lavava, sempre gridava.
Un giorno l'acqua lo rispecchiò e così gli parlò:
"Guardati qui, vedi come sei brutto sporco così?"
Il bimbo si guardò, si vergognò e subito si lavò.
Cominciò a cantilenarla in continuazione proprio mentre cercava di afferrare il bambino che invece, sgusciava via dalle sue mani come un'anguilla.
"Vieni qua Carletto! Fermati! Ti devi lavare, non puoi restare tutto sporco come uno spazzacamino."
"Sono pulito mamma, non c'è bisogno che tu mi lavi."
"Ma come! Sei sporchissimo, hai bisogno di una bella strigliata."
"Non è vero! Poco fa mi sono lavato il viso."
Le sue personali abluzioni consistevano nel bagnare a stento le dita e passarle sulla faccia. Ma in quel modo non riusciva a ripulirsi a fondo ed appariva lo stesso sudicio. Alcune volte la mamma riusciva ad imporsi ed allora lo infilava sotto la doccia, scatenando le sue urla ed i suoi lamenti. Che disperazione! Che avvilimento avere un bambino così! Quindi la poveretta continuava a ripetere la filastrocca nella speranza di convincerlo. Una volta una signora, tutta elegante e ingioiellata, lo aveva incontrato in ascensore e, osservandogli il viso, aveva esclamato:
"Che bel bambino! Peccato che abbia il viso sporco!"
Carletto l'aveva guardata sdegnoso e aveva soggiunto altezzosamente: "E peccato che tu abbia una faccia da scema!"
La donna l'aveva guardato scandalizzata e la mamma l'aveva sgridato: "Carletto, come ti permetti! Chiedi scusa alla signora!"
Un'altra volta, mentre la povera genitrice cercava di afferrarlo e in qualche modo di lavarlo, lui filando via come un razzo, andò a sbattere contro il carrello del televisore e l'apparecchio gli cadde addosso. Fortuna volle che non si facesse alcun male! Neppure si traumatizzò o si spaventò. Restò imperturbabile.
"Mamma, si è rotto il televisore?" La poverina era terrorizzata per il pericolo corso dal figlio e l'abbracciò stringendolo al petto.
"No, no tesoro, non è successo nulla! Come stai? Come ti senti? Non ti fa male da nessuna parte?"
Intanto nei giorni successivi, ripeté la filastrocca in continuazione, tanto che senza volerlo, Carletto l'aveva imparata a memoria. Una notte il bambino sognò che si stava specchiando nell'acqua e improvvisamente, vide dinanzi a sé l'immagine di un mostro! Si mise ad urlare a squarciagola facendo accorrere padre e madre.
"C'era un mostro nell'acqua! C'era un mostro nell'acqua! Aiuto! Aiuto!"
"Ma no Carlo," fece il padre "stavi solo sognando."
La madre come il solito, l'abbracciò e consolandolo: "Lo vedi: questo perché non vuoi lavarti e poi fai brutti sogni."
Intervenne il padre cercando d'imporsi con la severità. Furono dunque scenate e schiaffoni e il genitore finiva spesso inzuppato anche lui.
Un giorno, poiché il pavimento era tutto bagnato, il papà mentre lo stava lavando, finì a gambe all'aria nel tentativo di riafferrare Carletto che all'improvviso era fuggito. Altre urla e scenate. Insomma la vita con quel bambino era un vero strazio! Quando compì sei anni, fu mandato in prima elementare. La maestra iniziò le sue belle lezioni sull'igiene e la pulizia personale, ma ancora una volta lui non ascoltò e si presentava a scuola ripulito solo appena. Poi fra i compagni conobbe Gloria e fu amore a prima vista! Era una bellissima bambina dai capelli rossi, tutta piena di nastri e profumatissima.
Lo guardò e disse: " Ciao bimbo, perché hai le mani e le unghia nere?"
Carletto restò a fissarla senza sapere cosa rispondere. Gloria si allontanò e non gli rivolse più la parola. L'amore servì da catarsi. Difatti da quel giorno come per miracolo, il bambino cominciò a lavarsi da solo, a farsi la doccia, a pulirsi bene le unghia. La mamma ripensò alla sua filastrocca e capì che il figlioletto s'era rispecchiato negli occhi di una bella bimba invece che nell'acqua.
"Carlo," chiedeva il papà "perché ti sei messo il mio profumo?"
"Perché sono tutto lindo e pulito," rispondeva lui "dunque devo essere anche profumato."
Gabriella Cuscinà
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LA RANA E IL BUE.
Il poveraccio, che vuole imitare il potente, crepa. In un prato una rana notò il bue e,
presa da invidia per una mole così grande, gonfiò la pelle rugosa, poi chiese ai suoi piccoli se fosse più grossa
del bue. Quelli dissero di no. Di nuovo tese la cute con sforzo anche maggiore e in modo analogo chiese chi fosse più
grande. Quelli dissero il bove. Alla fine, inviperita, volle gonfiarsi con più gagliardia: ebbene, rimase a terra con
il corpo scoppiato.
Fedro, I, 24.
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La vacca, la capretta, la pecora e il leone.
Non c’è mai da fidarsi dell’alleanza con un potente: questa favoletta dimostra la mia tesi. La vacca, la capretta e la
pecora rassegnata all’ingiustizia furono in società con il leone sulle balze selvose. Catturato un cervo dal vasto
corpo, così parlò il leone, fatte le parti: "Io mi prendo la prima perché mi chiamo leone; la seconda, come socio,
me la assegnerete; poi, dato che sono il più forte mi toccherà la terza; guai a chi mi toccherà la quarta".
Così lei sola, la malvagia impudenza, si portò via tutta la preda.
Fedro, I, 5.
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La volpe e la cicogna.
Non si deve nuocere a nessuno; se qualcuno, però, avrà fatto del male, dovrà essere punito in virtù di un pari diritto:
questa favoletta ce lo ricorda.
La volpe, così si racconta, invitò per prima la cicogna a cena e le pose su un piatto un guazzetto, tutto liquido,
che la cicogna, pur desiderosa di cibo, non poteva in alcun modo gustare. E questa, avendo invitato a sua volta
la volpe, le mise davanti una fiasca piena di cibo tritato: vi caccia dentro il collo e si sazia, lei, la cicogna,
ma impone alla commensale il tormento della fame. E mentre quella lambiva inutilmente il collo della fiasca,
l’uccello migratore così diceva, come sappiamo: "Ognuno tolleri di buon animo i metodi che si è scelto".
Fedro, I, 26
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La volpe e l'uva.
Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato, e tentò di afferrarli. Ma non ci riuscì.
"Robaccia acerba!" disse allora tra sé e sé; e se ne andò. Così, anche fra gli uomini, c’è chi, non riuscendo per
incapacità a raggiungere il suo intento, ne dà la colpa alle circostanze.
Esopo, XXXII; Fedro, IV, 3
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La volpe mascherata.
Una volpe penetrò nella casa di un attore e, frugando in mezzo a tutti i suoi costumi, trovò anche una maschera da
teatro artisticamente modellata. La sollevò tra le zampe ed esclamò: "Una testa magnifica! Ma cervello, niente".
Ecco una favola per certi uomini belli di corpo ma poveri di spirito.
Esopo, XLIII; Fedro, I, 7
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L,asino e il lupo / il cavallo e il leone.
Un asino stava pascolando in un prato, quando scorse un lupo che si dirigeva verso di lui, e fece finta di zoppicare.
Il lupo gli si avvicinò e gli chiese perché zoppicava; quello rispose che, nello scavalcare una siepe, aveva messo
il piede sopra una spina, e lo consigliò di estrargliela, per poterlo poi divorare senza correre il rischio di bucarsi
la bocca masticando. Il lupo, persuaso, sollevò il piede dell’asino. Ma mentre concentrava tutta la sua attenzione
sullo zoccolo, l’asino, con un calcio sulla bocca, gli fece saltare tutti i denti. "E mi sta bene!", dichiarò
il lupo malconcio. "Perché ho voluto impicciarmi di medicina, quando mio padre m’aveva insegnato il mestiere di
macellaio?". Così, anche tra gli uomini, chi si mette in un’impresa non adatta a lui, finisce naturalmente in mezzo ai guai.
Esopo, CCLXXXI.
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Le due cagne.
Celano insidie le moine di una persona cattiva: ad evitarle ci esortano i versi seguenti. Una cagna sul punto di
sgravarsi chiedeva a un’altra il permesso di deporre la cucciolata nel suo tugurio; lo ottenne di buon grado: poi,
rivolendo quella la cuccia, la supplicò e ottenne una breve dilazione finchè potesse guidare i cagnolini più saldi
sulle zampe. Trascorso anche questo tempo, la compagna cominciò a chiedere con più insistenza il suo giaciglio.
"Se riuscirai a tener testa a me e alla mia banda, me ne andrò via".
Fedro, I, 19.
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Mela e Leopoldo.
C'era una volta una nonnina tanto carina, con i capelli di un bianco candito raccolti sulla nuca a forma di cipolla. Qua' e la' tante forcine nere che sembravano tante grotte sulla neve. I suoi occhiali dalle lenti perfettamente tonde scendevano sulla punta del naso sorretti da una catenella di lana che aveva fatto lei con l'uncinetto di colore marrone. La camicetta bianca con il colletto di pizzo, le maniche larghe arricciate sui polsi e la gonna lunga erano sempre coperte da un bellissimo grembiule da cucina da lei ricamato. Viveva in una casa di campagna ed ad ogni festa le sue nipotine andavano a trovarla. Ogni sera sedeva davanti al suo caminetto e pregava per loro. Ogni volta preparava i biscotti con le mandorle e la torta al cioccolato le sue specialità. Tra le sue nipotine ce ne era una in particolare alla quale era più legata. Si chiamava Manuela, ma lei la chiamava Mela per le sue guance tonde. Le somigliava molto, aveva gli occhiali molto simili ai suoi e amava la campagna e i prati come lei. Stava per arrivare il Natale e le stava aspettando. Era il 24 dicembre del 1970, faceva molto freddo e c'era molta neve. La nonnina era molto preoccupata per il viaggio. Si sedette come al solito davanti al caminetto ed aspettò. Si era fatto buio, era molto stanca e si addormentò sulla sedia dondolandosi. Dopo un po' il suo campanello comincio a strimpellare: drin drin drin. Nonnina siamo noi!. Si svegliò di colpo ed andò ad aprire. La prima che le corse incontro fu Mela che l'abbracciò forte forte dicendole: nonnina non vedevo l'ora di vederti, l'hai preparata la torta al cioccolato?. Birbantella la torta è pronta anche se dovresti fare un po' di dieta, ma questi giorni ti troverò io qualcosa da fare per smaltire un po'. La sera la nonnina spiegò loro che per impegnare il suo tempo aveva fatto costruire una casetta nella sua campagna come rifugio per i gatti soli. Qualche giorno prima uno di loro si era ammalato e non sapeva come curarlo. Temeva che morisse. Subito Mela le disse: nonnina me ne occuperò io. Ma tu non sei un medico. No, non lo sono, ma adoro i gatti. Domattina andrò da loro. Il mattino seguente dopo una bella colazione Mela uscì presto prima che la nonna si svegliasse per andare a fare una bella passeggiata. Amava molto stare fuori e respirare l'aria buona . Si fermò per fare un bel pupazzo di neve e poi andò nella casetta dei gatti. Non sapeva quale fosse il gatto malato. Portò loro da mangiare. Si sedette a terra con le ginocchia incrociate e cominciò a chiacchierare con loro. Sono Mela, non mi conoscete, ma io vi adoro tutti, siete molto belli e simpatici. Aveva delle palline e cominciò a giocare. Dopo un po' i gattini le si avvicinarono e si strofinavano a lei per farsi coccolare. Uno solo, mogio mogio, con grande fatica arrivò da lei e si draio' sulle sue ginocchia. Mela lo accarezzò e disse: scommetto che sei tu quello malato. Lo guardò attentamente, sembrava che non avesse nulla, ma i suoi occhi erano tristi. Il pomeriggio stesso per maggiore tranquillità lo portò dal veterinario del paese il quale le disse che quel gatto non aveva nessuna malattia. Mela cominciò a pensare. Quella notte non riusciva a dormire, si coprì bene ed andò dal gatto che aveva chiamato Leopoldo. Appena la vide si sdraiò sulle sue ginocchia e Mela pensò di portarlo in casa nella sua stanza. Leopoldo salì a fatica sul letto e si addormentò. Mela aveva deciso di tenerlo nella stanza con lei senza dire nulla alla nonna. Il giorno prima del suo rientro a casa, Mela era triste per Leopoldo perché doveva riportarlo nella sua casetta. Improvvisamente Leopoldo comiciò a correre e lei non riusciva a prenderlo. Temeva che la nonna lo vedesse e la rimproverasse. Leopoldo ando' di corsa in cucina girò intorno al tavolo e vi saltò sopra con grande stupore della nonna che stava preparando il pranzo. Lo guardò e fece un grande sorriso. Tu non eri il gattino malato? Lui le si avvicino e poggiò il musetto sulla sua mano. Mela arrivò in quel momento. Hai visto le disse la nonna credo che sia guarito sei stata tu? Io io non so. Raccontami cosa hai fatto. Nonnina l'ho solo portato nella mia stanza e gli ho permesso di dormire sul mio letto, probabilmte era soltanto molto triste e solo. Mela se ti fa piacere desidererei che tu lo portassi a casa tua perché credo che senza di te si ammalerebbe di nuovo, pensero' io a convincere la mamma. Evviva! Evviva! Gridò Mela. Leopoldo e Mela tornaro insieme e continuarono a vivere felici.
Anna Maria
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Una bambina in miniera.
Salve sono kitti, kitti Brawn, una bambina di 12 anni e voglio raccontarvi la mia vita, anche se adesso vivo insieme ai miei genitori adottivi che mi hanno preso quando avevo 11 anni, quando lavoravo nelle miniere.
1802- quando sono nata, vivevo con la mia famiglia nel Sud-Africa, precisamente a Città del Capo; poi ci siamo spostati e siamo andati a vivere in Zinbabwe.
1806- Una notte, dei signori vennero nelle case della gente. Io mi svegliai, chiamai i miei genitori e feci vedere quello che stava succedendo là fuori.
Mio papà, con molta fretta, preparò un cavallo, mia madre preparò delle coperte, e io vedevo che portavano via i bambini; non sapevo cosa mi potesse succedere, però scappai con i miei genitori, lontano da tutto questo.
1807- trovammo un rifugio nel Ciad, dove i miei genitori trovarono un lavoro e io degli amici e amiche.
Per un anno tutto era tranquillo, avevo persino conosciuto un cacciatore di leoni! Un giorno, quando ero andata a giocare con i miei amici, tornai a casa e vidi che mia madre e mio padre non c’erano. Pensai che fossero ancora a lavorare, allora andai a vedere, ma non c’erano.
Mi spaventai; andai a casa di una mia amica, ma anche i suoi genitori non c’erano. Ad un tratto non vidi più niente, come se qualcuno mi avesse tappato gli occhi. Quando li aprii, mi trovai in una cella di una miniera; ero spaventata e per di più non sapevo cosa fare e dove andare. Un uomo mi prese e mi portò in una miniera. Non capii subito cosa dovevo fare, ma dopo avevo capito; l’uomo mi diede una pala per scavare. Io iniziai, ma dopo un po’ non ce la facevo più, ero stanca. L’uomo, di nome Fernand, mi portò (con altri bambini) a trainare un carro pieno di carbone. Tre bambini spingevano e due tiravano il carro.
Una notte decisi di scappare di nascosto; vidi che gli uomini dormivano, corsi in fretta, più in fretta che potevo, ma….un uomo mi vide, mi afferrò, prese un bastone e…me lo diede sulla schiena. Avevo male, ma riuscii a scappare lo stesso, perché tanto non c’era nessuno che mi potesse aiutare.
Noi bambini lavoravamo, la paga era misera; io pensai ancora dove fossero i miei genitori, mi mancavano così tanto, soltanto cinque anni e mezzo sono stata con loro.
Ora mi chiedete come sono uscita di li? Beh con l’aiuto di Fernand; grazie a lui sono riuscita a scappare.
Aveva capito che soffrivamo; allora mi fece uscire. Avevo capito che era diverso dagli altri, era meno severo e poi mi iniziò a stare simpatico; da quel giorno, 22 settembre 1813, Fernand lo avevo considerato come un fratello. Quando mi fece uscire, però, lui non riuscì a scappare, degli altri uomini lo avevano preso.
Trovai l’uscita, e mi ritrovai su di una strada. La gente passava , ma nessuno mi guardava in faccia,.
Un uomo e una donna si fermarono: la donna mi disse: “ non avere paura, adesso ci siamo noi, vieni ti portiamo a casa!”
Mi sembrava una signora gentile e brava.
Grazie a loro oggi sto meglio, vado a scuola e ho anche degli amici.
Federica, V elementare
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La lumaca senza conchiglia.
C'era una volta una lumaca. Il suo nome era Lumy e viveva dentro un albero con i suoi genitori e suo fratello Maky. Lumy era una lumaca diversa dalle altre perché era nata senza conchiglia. Lei non lo sapeva o forse fingeva di non sapere che non era l'unica ad essere nata senza conchiglia. Infatti,nella città di Lumacalandia, erano molte le lumache che si erano costruite la conchiglia da sole o perché nate come lei o perché si era rotta. A lei non importava che vivendo in quel modo avrebbe sofferto il freddo perché stava sempre chiusa in casa. Passava ogni notte a mangiare foglie e andava a dormire molto tardi. La mattina, mentre la sua mamma e il suo papà andavano a cercare foglie da portare a casa, e mentre Maky usciva per giocare con le altre lumache, lei stava a letto e si alzava solo quando era ora di mangiare. Viveva male Lumy perché così facendo si perdeva tutte le giornate di sole della sua vita. Il sole ogni giorno passava anche dalla sua casa per salutare i suoi amici, ma lei credeva che lui non fosse anche suo amico. Si era convinta di non avere nessun amico perciò, anche se il sole la chiamava, lei non rispondeva. Maky cercava di fargli capire che lei non era sola e le diceva che potevano andare a giocare anche con le altre lumache, tutti insieme, se solo si decideva ad uscire di casa. Ma lei si ripeteva che era timida, che non poteva farci niente, così gli anni passarono uno dopo l'altro. Maky e Lumy erano grandi ormai e i loro genitori stavano invecchiando. Lumy non aveva costruito la sua conchiglia però si era costruita un mondo tutto suo dove si illudeva che sarebbe stata bene come in quello vero. Si sbagliava e il suo modo di vivere la stava facendo ammalare. Infatti, il freddo che non sentiva da piccola adesso lo sentiva. Non ascoltava nessuno e quando lo faceva, dopo un pò, tornava a fare tutto come prima. Andava a letto tardi e si alzava tardi. Mangiava molto perché non voleva pensare che da sola avrebbe dovuto costruire la sua conchiglia. Preferiva vivere così, stordendosi nel sonno e nel cibo, senza cominciare a darsi da fare. Le minacce dei genitori erano inutili perché credeva volessero solo spaventarla. Le dicevano che doveva vivere la sua vita ogni giorno come fosse l'ultimo perché quando il contadino le avrebbe trovate non ci sarebbe stato più tempo per pentirsi e chiedere aiuto. Rideva a queste minacce e nella sua mente dava la colpa a tutti tranne che a se stessa. Un giorno Maky sparì insieme ad altre lumache senza lasciare traccia. Erano tutti spaventati a Lumacalandia e in particolare Lumy che, oltre ad esser preoccupata per il fratello, cominciava a pensare che la storia del contadino fosse vera. Dopo tre giorni Maky tornò a casa. Era tutto spaventato e tremava. La mamma lo abbracciò dicendogli che era tutto finito, di non avere paura che lì era al sicuro. Dopo un po' di tempo Maky raccontò quello che gli era successo. Un enorme essere l'aveva preso insieme alle altre lumache e lo aveva intrappolato in una grossa cesta. Era il contadino che li stava portando a casa per mangiarli tutti. Dopo aver tolto la conchiglia d'ognuno li gettò in una pentola enorme riempita d'acqua bollente. Senza accorgersene il contadino aveva fatto cadere Maky che con tutta la velocità che poteva si allontanò da quella casa. Mentre si allontanava sentiva le lumache più piccole urlare per il dolore. Quelle più grandi avevano accettato quello che stava succedendo perché sapevano che non potevano opporsi. Erano lì, immerse nell'acqua, ma non sembravano far caso al calore dell'acqua e dicevano alle lumachine di farsi coraggio, che presto sarebbe tutto finito, di pensare alle cose belle della loro vita senza rimpiangerle. Maky adesso era lì, nella sua casa, aveva smesso di tremare nonostante fosse senza conchiglia. Disse a Lumy che non aveva vergogna di come era diventato e andò subito a morsicare un pezzo di legno per costruirsi una nuova conchiglia. Lumy ammirò il suo coraggio e, mentre i genitori lo guardavano felici e contenti, cominciò anche lui a crearsi la sua conchiglia.
Emanuele Modafferi
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